SANTORO: «IL MIO RICORDO DI BENEDETTO XVI»

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Un Dies amara valde si sta consumando oggi in particolare per tutta la comunità cattolica.
Benedetto XVI termina la sua vita terrena per entrare nella gloria dei santi e dei beati, al cospetto di Cristo, unico Bel Pastore della Chiesa che lui per sette anni ha guidato.
Negli anni del suo pontificato io studiavo teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione San Luigi. Ho avuto la possibilità di studiare la sua grande bibliografia, la sua dottrina e il suo magistero potendo avvalermi della saggezza dei docenti che me ne spiegavano i punti non chiari.
A dieci anni fare un bilancio del suo pontificato e della corposità del suo magistero forse risulta troppo precoce agli occhi di uno storico. Forse il mio è soprattutto un ricordo dato dal cuore. Il ricordo di un uomo semplicissimo che spesso ho visto camminare nei Giardini vaticani, dopo le sue rinunce al ministero petrino, con il suo segretario e lo staff, spesso recitando il rosario, come un comune cattolico. Ricordo in quelle occasioni i suoi sorrisi e anche le parole di incoraggiamento – in quelle rare occasioni in cui riuscii ad avvicinarmi –  sul mio percorso di studi presso la Pontificia Università della Santa Croce. Un uomo tanto potente nel suo magistero quanto timido e riservato nei rapporti. Un uomo di Dio dalla morale personale ferma e affettuosa.
Un papa europeista: scelse quel nome, Benedetto,  sia per il legame con Benedetto XVI, il papa della pace che tuonò contro la guerra, sia perché San Benedetto da Norcia è patrono d’Europa. Ha sempre ricordato e invocato un ritorno ai valori nativi dell’Unione Europea affinché potesse essere ago della bilancia in un mondo in bilico tra guerra e pace.
Nelle sue teorie sul consumismo si legge una chiara tutela del Creato: non sterili moniti sulla ricchezza ma una seria messa in discussione sulle risorse non limitate della terra e sulla rispetto delle natura.
Anche per questo per me è un papa totalmente moderno, contrariamente a come viene considerato comunemente. Da giovane teologo partecipò al Concilio Ecumenico Vaticano II, che portò una grande ventata di attualità a una Chiesa che, all’epoca, era appesantita da fardelli storici e culturali ormai superati. Questa, a mio avviso, è la chiave ermeneutica della sua vita di uomo di fede, pastore e pontefice.
Aperto al dialogo con le altre famiglie cristiane e con le altre confessioni. Fu il primo Prefetto della Congregazione della Fede, il “ministero” della Santa Sede che si occupa della dottrina cattolica. Questo compito lo legò profondamente al pontificato di San Giovanni Paolo II. Un papa moderno tanto da alleggerire i titoli legati alla figura petrina: rinuncia a essere “Patriarca d’Occidente” per favorire il dialogo con la Chiesa Ortodossa, elimina la Tiara dal suo stemma, sostituendola con la Mitria, simbolo dei vescovi e segno della santità della Chiesa, ribadendo il concetto di Clemente Romano sulla figura del papa: il vescovo di Roma non ha tanto un valore monarchico ma quanto una funzione di primus inter pares, ossia primo tra pari, una posizione non di governo ma di primato di carità. Nel solco della modernità, Benedetto XVI compì la riforma della Curia romana, snellendo un organo assai complesso e a volte macchinoso. Riorganizzò il Codice di Diritto canonico sia da cardinale sia da papa, acuendo i reati di natura morale del clero, piaga della Chiesa moderna.
Magistrali e bellissime le sue tre encicliche: la prima, la Deus Caritas est sull’esperienza dell’amore che caratterizza l’essere umano; la Spei Salvi, prima enciclica sulle tre virtù teologali; la Caritas in Veritate, in cui richiama, tra i tanti temi, a un’economia che sostiene il bene comune e non al semplice accumulo di ricchezze e invita a una visione di economia uomocentrica. La quarta, pubblicava già da Francesco, è la Lumen Fidei, scritta alla fine del suo pontificato sul rapporto osmotico tra fede e ragione. A mio avviso è una lettura aggiornata della Fides et Ratio, enciclica del 1998 di Giovanni Paolo II. Tutti però lo ricordiamo per il grande gesto di umanità, responsabilità e umiltà: la rinuncia al ministero petrino, l’11 febbraio 2013, un gesto estremamente moderno, mai visto nella Chiesa moderna, salvo il caso di Celestino V. In quel gesto, tutto ritorna alle origini, a quella modernità di gioventù vissuta dal Concilio Vaticano II. Quel gesto, di estrema forza, è frutto di un amore per la Chiesa smisurato: non è semplice lasciare la visibilità di un posto di potere o fare rinunce così pubbliche.
Credo sia un papa che merita uno studio e una riflessione, e forse anche la carica di Dottore della Chiesa, ossia degli studiosi illustri per santità di vita e ortodossia di dottrina. Il presente forse non ha capito il peso specifico di questo grande uomo semplice, lui è l’umiltà della sapienza. La storia, guardandoti da lontano, ti ricorderà come Benedetto Magno, l’umile lavoratore della vigna del Signore, divenne un grande papa, un modello indiscusso di fede, dottrina, magistero, umanità e leadership.
Oggi, ultimo giorno dell’anno in cui la tradizione cattolica ci fa cantare il Te Deum laudamus, inno di lode e di ringraziamento a Dio, io ringrazio per averci donato la figura di quest’uomo, pio, umile, grande e sapiente.
Grazie Benedetto XVI!

Pietro Santoro



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