CERNUSCO, INTERVISTA ALLA SCRITTORE CERNUSCHESE LUCA SALTINI

Luca Saltini nasce a Sesto San Giovanni nel 1974 e vi ha vissuto fino a 2 anni, poi si è trasferito a Cernusco L.ne. Qui ha frequentato l’asilo e le elementari, fino a quando nel 1985, con la famiglia, è andato a vivere a Lugano, dove risiede tuttora, sposato con quattro figli. Ha frequentato però l’università a Milano, la Cattolica, laureandosi in filosofia con specializzazione in storia nel 1998. Si è poi iscritto all’Università di Ginevra, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in lettere (PhD) nel 2003. Ha lavorato per alcuni anni come ricercatore presso università e enti di ricerca. Da ormai una quindicina d’anni lavora alla Biblioteca cantonale di Lugano, un istituto storico, con fondi preziosi. E’ responsabile dell’attività culturale e dei fondi antichi, quindi organizza eventi (conferenze, mostre, seminari, convegni, dibattiti,…) e conduce un’attività di ricerca e coordina progetti con l’Università della Svizzera Italiana e gli istituti scolastici di Lugano. Nel corso di questi anni ha pubblicato, come autore o curatore, una trentina di volumi scientifici e curato oltre settanta mostre. Collabora anche con giornali e radio svizzeri con interventi di carattere culturale; accanto a questo lavoro, si dedica alla scrittura creativa. Ha pubblicato, infatti, diversi lavori dedicati all’infanzia (oltre 250 racconti apparsi in rivista e alcune raccolte) e scrive anche romanzi: fino a oggi ne sono usciti quattro. L’ultimo, Una piccola fedeltà, è edito da Giunti-Bompiani ed è stato pubblicato a febbraio. Questi lavori gli hanno permesso di vincere alcuni premi letterari.

Luca Saltini, classe 1975

Cosa ricorda di Cernusco?
Tutto. Ci ho vissuto anni bellissimi, quelli della mia prima infanzia, dall’asilo, fino a tutte le elementari. Mi basta chiudere gli occhi per camminare tra le vie del paese o ritrovare certe strade tra i campi dove mi piaceva andare a giocare. Il problema è che i miei ricordi sono fermi al 1985, l’anno in cui me ne sono andato, e quindi non collimano del tutto con il paese attuale. Per esempio, se penso alla strada per andare in piazza da quella che era casa mia, io vedo il passaggio a livello, non il sottopassaggio che c’è adesso. Lo stesso per le persone. Che so? Per me il parroco è sempre don Angelo. La zona dove stavo io, per la verità, non è cambiata per niente, anzi, è diventata più bella. Io abitavo in via san Dionigi, dove passa il parco del Curone. I campi dietro le case sono rimasti uguali e le cascine, che io mi ricordo cadenti, sono state in gran parte risistemate. Hanno anche segnato i sentieri verso il bosco con dei cartelli! Per voi che vi abitate, probabilmente sono ovvietà, ma per me è stata una scoperta. Diverso il discorso per la parte del paese verso Merate. Qualche anno fa ci sono arrivato venendo da Bergamo. Io mi ricordavo un rettilineo con prati, la Città Mercato, il tennis… Ho capito dov’ero quando sono entrato a Cernusco! 

Quindi torna ogni tanto a Cernusco?
Davvero raramente, per la verità. L’ultima volta è stata tre anni fa. 

Come si è avvicinato alla scrittura, all’idea di scrivere libri?
È la scrittura che si è avvicinata a me. È qualcosa che mi ha sempre appassionato e se hai passione per una cosa, significa che hai talento per quella cosa. Ero affascinato dai libri e dal lavoro dello scrittore, dall’idea di stare in una stanza a immaginare dei mondi. Non ho avuto però per molti anni il coraggio di investire solo su quella mia passione ed è stato un errore. Ho preferito prima costruirmi un mestiere, una certa solidità economica, diciamo così, e solo allora ho iniziato davvero a scrivere. Avevo però già più di trent’anni. Da quando ho iniziato, però, sono contento della piccola strada che ho fatto. È stato davvero duro imparare a scrivere, capire come si deve raccontare una storia, imparare a usare la scrittura per evocare immagini e dare emozione al lettore, accompagnarlo con te dentro il mondo che stai costruendo con le parole. La scrittura parla della vita, un argomento di cui tutti sono molto esperti, e quindi bisogna essere particolarmente abili per essere convincenti. Non si può barare. C’è una scrittura di solo intrattenimento, che va per la maggiore, il cui unico fine è divertire il lettore, attirarlo con la curiosità fino alla fine del racconto. Questo tipo di lavoro, però, a me non interessa, perché libri scritti così non lasciano traccia in chi li legge. Chiuso il libro, tutto è finito. Invece la scrittura letteraria è in grado di dare emozioni vere, far fare esperienza di vita in situazioni che non sperimenteremmo mai in realtà. Fare incontri, conoscere altre realtà, incontrare persone. Tutto è dato dalla fantasia dello scrittore, ma se l’autore sa farsi portare dalla scrittura, descrive le situazioni, ce le mostra, allora noi lettori facciamo una vera esperienza di vita che ci cambia. Se, chiudendo il libro, i personaggi, le sensazioni, le immagini ci restano addosso, allora abbiamo incontrato un libro così. Io provo a scrivere con questa idea, la sola che mi sembra utile.

È presente Cernusco, il Meratese in alcune parti dei suoi romanzi?
Non mi è mai capitato di scrivere una storia ambientata a Cernusco o in questa zona. Ho scritto un romanzo ambientato in Brianza, ma a Meda e dintorni. Si intitola Periferie e racconta la storia di un ragazzo che perde il lavoro e riesce a ritrovare una strada grazie all’incontro con un uomo nato con la sindrome di Down. In generale, faccio fatica a scrivere di realtà che sento troppo vicine. Ho bisogno di una distanza dove la fantasia non trovi il limite di cose troppo conosciute. Per esempio, l’ultimo libro che ho pubblicato (Una piccola fedeltà, Giunti 2018), è la storia di un trader milanese che lavora in Romania. Io non ci sono mai stato in Romania e non so nemmeno cosa penserebbe un rumeno che conosce il suo paese della Romania del mio libro, ma non è importante. Quello che conta è che l’ambiente sia credibile rispetto alla storia che si sta raccontando. Così un paese reale diventa in realtà un non luogo, un’isola che non c’è dove tutto si può immaginare.

Quali sono i temi dei suoi libri?
Racconto storie contemporanee, ma non ho un tema ricorrente. Ogni libro è diverso. Mi piace guardare da vicino i personaggi, indagare le loro vite, farmi guidare da loro dentro il loro mondo. So che sembra un discorso strano, ma funziona così. È chiaro che i personaggi di un libro sono inventati da uno scrittore, vengono fuori dalla sua fantasia o dalla sua visione delle cose. Tuttavia la scrittura ha un potere evocativo talmente potente, che consente allo scrittore di entrare in quelle vite e scoprire cose che non sapeva e non immaginava. È una vera illuminazione. Se vogliamo, lo scrittore è come uno sciamano, che è tramite di un potere che lo trascende e gli fa vedere delle cose. Qualcuno lo chiama subconscio, qualcun altro lo chiama Dio.

Dove trova l’ispirazione?
Per me tutto parte dalla scrittura. In narrativa, la scrittura fa parte della storia, è la storia. È la scrittura che dà il clima, il ritmo, evoca le immagini, i toni. Ad ogni romanzo bisogna inventare un modo diverso di scrivere. Se un autore scrive sempre allo stesso modo, sta raccontando sempre la stessa storia. Quindi io leggo diversi autori, vado in cerca di qualcosa che nemmeno io conosco, fino a quando trovo un autore che risveglia in me un immaginario. Allora comincio a leggere i suoi libri, li faccio entrare dentro di me e, pian piano, matura un’idea di scrittura nuova, un modo che non imita quello dell’autore di riferimento, ma è qualcosa di mio che, però, si alimenta di quella visione. Alla fine scopro le parole del libro che voglio scrivere, la voce che racconterà la storia. A quel punto ho un’immagine iniziale e non devo fare altro che descrivere cosa vedo. Pian piano, nasce la storia, come se stessi leggendo il libro che scrivo. Non vedo le parole, ma le immagini, esattamente come succede quando si legge. Così nasce la storia. Poi, una volta scritta, c’è la bottega: il duro lavoro di revisione, sistemazione, cesello che permette al libro di diventare davvero romanzo.

Come mai si trova in Svizzera?
Mi sono trasferito nel 1985 con la mia famiglia e ci sono rimasto da allora, salvo una parentesi durante gli studi e appena sposato. I primi anni sono stati difficili. Ho fatto molta fatica ad ambientarmi, ma poi mi sono inserito. La Svizzera è un paese molto bello e ci si vive bene. Ho avuto delle belle opportunità di lavoro e non ho più desiderato tornare in Italia. Naturalmente ci vengo spessissimo. Lugano è a 60 km da Milano e in un quarto d’ora posso essere a Ponte Tresa o in Valsolda e in venti minuti a Como. Nel Ticino, l’Italia è presente e viva, quindi in realtà non la senti come qualcosa di perduto.

Sta lavorando a qualcosa di nuovo?
Sì. Sto terminando quel lavoro di bottega a cui accennavo su un romanzo scritto qualche tempo fa e ho trovato un autore che evoca in me un immaginario. Appena chiudo il lavoro di bottega, ancora qualche settimana, spero di iniziare un nuovo libro. Però non posso dirle ancora niente di preciso, perché non so ancora di cosa parla!

D.V.



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