Venerdì 9 febbraio presso il Centro parrocchiale, in occasione de I caffè del venerdì, il Centro socioculturale Lazzati ha ospitato la testimonianza missionaria di Luca Fumagalli, venticinquenne osnaghese, membro del gruppo di Bernareggio dell’associazione Amici del Sidamo.
La serata è stata introdotta da Canzio Dusi, membro del Centro Lazzati, che ha dapprima presentato i prossimi appuntamenti che il Centro proporrà nei prossimi mesi per poi passare la parola a Luca sottolineando come anche nella società di oggi ci siano giovani con valori e che decidono di fare scelte molto significative.
Luca, dopo essersi presentato, ha ringraziato proprio con il termine amarico amseghenallo il Centro Lazzati per l’invito e gli intervenuti, tra i quali il parroco don Alessandro Fusetti che lo ha sostenuto a distanza durante questa sua terza esperienza in missione in Etiopia con gli Amici del Sidamo. Prima di descrivere quest’ultimo viaggio in Etiopia, durato due mesi, svolto con la sua ragazza Veronica, Luca ha spiegato le difficoltà economiche, politiche e sociopolitiche del paese e ha raccontato il suo incontro ai tempi delle scuole superiori (svolte presso i Salesiani di Sesto San Giovanni), con l’associazione Amici del Sidamo, legata ai Salesiani, fondata dal salesiano Abba Elio Bonomi, che ha aperto le missioni a Dilla e Zway in pieno deserto, ove ora si trova sepolto.
Con gli Amici del Sidamo Luca ha partecipato dapprima al campo di formazione in Val Formazza, ove ha incontrato ragazzi che erano rientrati dell’Etiopia. Nel 2015 e nel 2016 Luca ha quindi deciso di partire, entrambe le volte per un mese, per la missione di Dilla, nel sud Etiopia e nel 2023 per due mesi per Addis Abeba.
Luca ha poi citato i vari progetti che l’associazione Amici del Sidamo segue in Etiopia: il Bosco Children nella capitale per recupero e formazione di ragazzi di strada; Asco, ove le suore di Madre Teresa si prendono cura di bambini, ragazzi e donne con disabilità o sieropositivi; Abobo, nel sud ove vi è una clinica per gli abitanti dei villaggi; Zway con l’Indipendent Women Project ove le ragazze possono studiare e le donne acquisiscono competenze artigianali; Mekanissa nella capitale ove a bambini e ragazzi, dall’asilo alle superiori, con situazioni familiari difficili vengono garantite gratuitamente assistenza sanitaria, istruzione e un pasto composto da pasta o riso e un frutto, e ove opera da quarant’anni il salesiano laico Donato.
Luca ha quindi raccontato le sue giornate trascorse principalmente presso il Kinder Garden di Mekanissa con i bambini dai tre ai sei anni. Con un’altra volontaria, Rosanna di Bologna, Luca ha svolto con questi piccoli bambini svariate attività diverse dalle solite: lezioni di inglese, musica, canto, ballo, colorare, disegnare. L’istruzione per questi bambini così piccoli è molto differente da quella italiana: infatti i piccoli lavorano tutto il tempo fermi ai banchi senza parlare, l’insegnamento è molto schematico e spesso ripetono in continuazione dei concetti senza sapere quello che stanno imparando. Nel tempo trascorso quindi con Luca e Rosanna i bambini potevano sperimentare qualcosa di nuovo, pur rispettando il rigore imposto dalle insegnanti, e trascorrere momenti di gioco liberi ai quali non sono abituati e durante i quali spendono e fanno spendere molte energie.
«La cosa più importante per i bambini è che tu sia lì con loro perché hanno bisogno a livello emotivo ed affettivo di questi momenti» ha affermato Luca.
Il giovane è poi passato a raccontare le storie di alcune persone incontrate durante questi due mesi. La prima storia è quella di tre ragazze grandi, Abesesh, Etage e Asnakc, scappate dalla regione di conflitto degli Amara ed arrivate a Mekanissa senza documenti di frequenza scolastica e ad iscrizioni terminate. Non potendo per questo andare a scuola, Luca e Rosanna si sono occupati di insegnare loro un po’ di inglese, matematica e amarico, oltre che di musica, per loro una novità della quale sono rimaste stupite ed emozionate, e di riflettere insieme sul loro futuro per nulla semplice e scontato. Altro incontro importante è avvenuto per Luca presso l’Alert Hospital di Addis Abeba, dove si recava due volte a settimana. Lì, con Rosanna, si è preso particolarmente cura di due fratelli quindicenni, Aster e Melkamo, originari della regione dell’Oromia, che a circa sei anni hanno contratto la lebbra e i genitori li hanno quindi rinchiusi in una piccola stanza senza mai farli uscire per anni fino a quando sono stati liberati da una persona che li ha portati dalle suore di Charles de Foucault. Tramite loro sono poi giunti in questo ospedale. I due a causa della malattia non hanno più braccia, mani e piedi, e Luca e Rosanna hanno avuto il compito di insegnare loro ugualmente un po’ a leggere e scrivere in aramaico ed inglese e a far di conto per poter poi cercare di inserirli in prima elementare. I fratelli hanno ottenuto notevoli risultati e miglioramenti come il controllo del tratto nel disegnare e nello scrivere pur non avendo gli arti e non volendo utilizzare particolari protesi. «Mi ha colpito tantissimo la loro dedizione al lavoro, nello svolgere i compiti, e la loro voglia di riscattarsi dalla loro condizione. Con loro abbiamo stretto un legame forte, tanto che Aster che, consapevole della propria condizione della quale si vergognava, si copriva mani, piedi e volto con dei teli quando si trovava davanti a noi, alla fine non lo ha più fatto. L’ultimo giorno con loro prima del rientro in Italia è stato il più difficile e Aster mi ha chiesto di non dimenticarmi mai di lei. Questo è stato il momento più significativo dei due mesi perché Aster era stata abbandonata da tutti, in primis dai genitori. Io non voglio dimenticarla e per questo per me è importante, ora che sono tornato, raccontare le storie, le vite, le difficoltà delle persone che ho incontrato perché è questo che le tiene vive per davvero».
Luca ha poi sottolineato l’importanza della comunità dei volontari (Veronica, Rosanna, Cecilia, Luca e Laura) con cui ha condiviso in loco l’esperienza, i pensieri, i confronti, la voglia di fare, le emozioni, i momenti più difficili e complicati.
Dopo aver sottolineato alcune curiosità riguardanti il paese (ad esempio i rituali di saluto, la lingua, l’anno, la religione, le abituazioni), Luca ha risposto ad alcune domande dei presenti affermando.
«Quest’ultima esperienza l’ho vissuta con più consapevolezza e maturità rispetto alle precedenti. Due mesi sono pochi e tornare è la cosa più difficile. È difficile cercare di trasmettere le emozioni provate. Quando sono tornato mi sono detto di vivere la mia vita qua cercando di essere ancora più carico nelle cose che faccio quotidianamente, sul lavoro, in parrocchia, nel volontariato».
In ultimo è stata inscenata una dimostrazione della tradizionale cerimonia del caffè con la collaborazione di alcuni membri del Centro Aiuti per L’Etiopia. Luca ha spiegato che in Etiopia infatti il caffè è quasi sacro, si dice sia nato nella regione etiope del Kaffa e per tradizione bisogna bere tre caffè (il primo del papà, il più forte, il secondo della mamma, intermedio, e il terzo del bambino, più annacquato). Il caffè viene accompagnato da pop corn dolci, i kolo (cereali e noccioline tostati con spezie) e i dabo kolo (dolci fritti di pane).
V.S.